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martedì 22 marzo 2011

La storia infinita di un giocatore diventato leggenda


di Jacopo Fontanelli


E' il 1993, l'anno in cui Clinton diventa presidente degli Stati Uniti, l'anno in cui si scioglie la Democrazia Cristiana, Laura Pausini canta la sua Solitudine e Roberto Baggio vince il quarto pallone d'oro della storia italiana. E' anche l'anno in cui in un pomeriggio come tanti di una partita come tante, fa il suo esordio in serie A, un bambino sedicenne come tanti. No, quel giorno, in campo, non è entrato un ragazzo come tanti, è entrato un giocatore che ha scritto la storia del calcio nella sua Roma.

E' Boskov, si dice su consiglio di Mihaijlovic, che l'ha fatto esordire, anche se sarà nella Roma di Carlo Mazzone che troverà molto più spazio e anche i primi gol con quella maglia che sarà anche la sua unica, in una carriera che nessuno vorrebbe finisse mai. Una carriera che ha rischiato di essere diversa se il Presidente Sensi avesse dato ascolto fino in fondo ad un allenatore venuto dall'Argentina che non lo riteneva all'altezza di una squadra che in quegli anni navigava a metà classifica, e che l'avrebbe venduto alla Sampdoria. Ma si sa, le grandi storie d'amore superano ogni ostacolo e rinascono più forti di prima. L'anno dopo, con Zeman, Totti diventerà il Capitano. Con la fascia arriva il posto da titolare e la prima convocazione in Nazionale, oltre ad una quantità di gol di cui già si comincia a perdere il conto.

La consacrazione arriva con Capello, a cavallo del 2000; capitano nel terzo scudetto della storia giallorossa, protagonista indiscusso all'Europeo con l'Italia che trascina in finale a suon di assist e di giocate indimenticabili come il rigore col cucchiaio fatto a Van der Sar nella semifinale; la prima Supercoppa e una serie infinita di riconoscimenti e premi. Dopo aver sfiorato la retrocessione nell'anno che anticipa Calciopoli, lui e la sua Roma acquisteranno una dimensione europea ben definita, arrivando per due anni consecutivi ai quarti di Champions League, eliminando prima il Lione, e poi addirittura il Real Madrid.

Dei suoi gol continua ad essere difficile tenere il conto perchè distratti dalla loro superba bellezza. Con l'avanzare degli anni, arrivano anche le prime critiche; critiche che arrivano non solo da fuori ma anche da una parte degli stessi tifosi che per quasi 15 anni lo hanno idolatrato. “E' finito”, “e' vecchio”, “giochiamo in dieci”, si sente dire, ma lui non rinfaccia quello che ha fatto, non ricorda i sogni e le gioie che ha regalato con ogni suo pallonetto o colpo di tacco. Va in panchina quando deve, ed entra a tre minuti dalla fine quando lo chiamano in causa con non troppo rispetto. Raramente ha fatto una polemica, ma ha sempre permesso al campo di parlare per lui, facendo quello che sa fare meglio. Certo nella sua carriera ci sono state anche immagini brutte ed episodi che lui per primo avrebbe voluto cancellare; ma il suo gol a Milano contro l'Inter dopo trenta metri di campo e un pallonetto meraviglioso cancella lo sputo a Poulsen; lo stop e gol a udine su lancio da cinquanta metri cancellano il calcio a Balotelli, i tiri al volo contro Sampdoria e Udinese fanno dimenticare del pugno a Colonnese, tutto questo unito ad una quantità di lanci, assist e giocate che hanno fatto stropicciare gli occhi anche ai tifosi avversari.

La pecca della Roma è stata quella forse di non aver mai costruito una squadra all'altezza del suo giocatore simbolo, l'ha detto Platini, e l'hanno pensato negli anni i milioni di tifosi giallorossi. Forse si può pensare che questa storia tra una città e il suo capitano possa essere stata una storia incompleta, ma forse, allo stesso modo, si può pensare che sia proprio l'incompletezza delle cose a renderle così indimenticabili.
Nel calcio senza sentimenti dei trasferimenti miliardari, dove i soldi sono l'unica cosa che conta, c'è ancora posto per qualche pagina di romanticismo, e sono pochi i giocatori che sono stati fedeli ad una sola maglia per tutta la loro carriera, e sono pochi quelli che l'hanno fatto come Francesco Totti.